Orientamento difficile nella galassia delle applications
Per la prima volta l’oggetto dei desideri che sta contribuendo a rivoluzionare l’esperienza di navigazione e di fruizione dei contenuti è posto sotto indagine: ecco come viene utilizzato e giudicato
Ognuno vuole la propria “apps”. In circolazione, nel mondo, in base alle principali statistiche circolanti sul mercato ce ne sarebbero circa mezzo milione. I numeri, effettivamente, sono impressionanti: in casa Apple, lo Store digitale dell’azienda allinea non meno di 300mila “apps” disponibili per iPhone, mentre le proposte di Google per Android arrivano ormai a quota centomila. A questi dati – solo per citare i modelli principali di veicolazione – vanno aggiunte le circa diecimila soluzioni create da Research In Motion per Blackberry, mentre Microsoft sta mettendo a dura prova la fantasia e la stessa operatività dei suoi sviluppatori che in brevissimo tempo hanno saputo costruire già un migliaio di “apps” per il neonato Windows Phone 7.
Da questa proliferazione, ovviamente, derivano due conseguenze fondamentali, sia in chiave di valutazione delle modalità d’uso sia in relazione alle potenzialità di sfruttamento di un simile mercato in chiave commerciale e pubblicitaria. Da una parte, dunque, appare sempre più importante per tutti gli operatori presenti in Rete disporre di analisi dettagliate su come gli utenti utilizzano le applicazioni, su come interagiscono con il web, su come si muovono in termini di navigazione all’interno delle stesse “apps”. E proprio in questa direzione di sviluppo si muove anche l’esperienza d’analisi di ShinyStat.
Inoltre, sull’altro fronte di criticità, sta nascendo anche una spiccata esigenza di orientamento tra le tantissime proposte esistenti. C’è bisogno di ordine, di capire quali applicazioni sono utilizzabili attraverso determinati standard, quali possono “correre” su qualsiasi dispositivo. Quest’ultima è, per così dire, la nuova frontiera: gli sviluppatori delle diverse imprese stanno provando a modulare in un’unica direzione il proprio lavoro, spinti dall’idea comune di produrre standard “aperti” che permettano a una stessa applicazione di essere utilizzata attraverso qualsiasi device, dall’accoppiata iPhone-iPad al Galaxy di Samsung, dalle internet tv marcate Google e Apple alle più diffuse console come Xbox, PlayStation e Nintendo. In pratica, gli sviluppatori “scrivono” in termini unitari, producendo, alla fine, applications differenti ma in grado di funzionare su qualsiasi device. Quasi un sogno per i navigatori, gli utilizzatori e, soprattutto, gli operatori commerciali presenti in Rete e i professionisti del marketing e della comunicazione.